Gli ospedali psichiatrici, istituiti in Italia a partire dal XV secolo, furono regolati per la prima volta nel 1904. Essi furono chiamati inizialmente “manicomi”, “frenocomi” o con altri nomi caratterizzanti. La costruzione di tali strutture venne richiesta da alcuni ordini monastici o dalle amministrazioni provinciali o da medici illustri. Dal 1728 gli ospedali psichiatrici furono richiesti da ordini ecclesiastici.
Nel 1965 il ministro della sanità, Luigi Mariotti tentò l’avvio di una riforma. Per prima cosa, il 20 settembre di quell’anno, in un convegno a Milano, lanciò un atto di denuncia dello stato dell’assistenza psichiatrica in Italia che avrebbe poi suscitato molte proteste: egli paragonò infatti gli ospedali psichiatrici italiani – dove “i malati di mente, secondo la vecchia legge del 1904, sono considerati uomini irrecuperabili – ai lager germanici. Inoltre, lavorò per l’istituzione di piccole strutture da affiancare ai dispensari e ai centri di igiene mentale, legate agli ospedali civili che potessero essere fonte di aiuto e comprensione del paziente.
Un caso particolare e fondamentale fu, come si è detto, l’occupazione dell’ospedale di Colorno (Parma) tra il 1968-1969 che rappresentava una tappa fondamentale per l’evoluzione dell’assistenza psichiatrica. Prima dell’occupazione l’ospedale si presentava con una struttura molto vecchia, con molti malati e pochi medici ed infermieri. Vi era una rigida divisione tra uomini e donne, infermieri ed infermiere e dei reparti in base al grado del disturbo.
Nella primavera del 1968 la protesta degli infermieri trovò consenso da parte del movimento studentesco che iniziò ad interessarsi all’ospedale, vedendo nella psichiatria il paradigma estremo della medicina di classe. Dal 27 al 30 gennaio 1969 si svolse a Parma il convegno “Medicina e psichiatria” ed è proprio qui che gli studenti iniziarono ad avanzare richieste sul miglioramento della struttura e il 2 febbraio decisero di occuparla. Tra le numerose proposte presentate all’interno delle assemblee dell’occupazione si proponeva di:
- aprire le porte della struttura;
- tenere assemblee comuni di uomini e donne;
- mandare in pensione i vecchi medici;
- avere permessi di uscita e di consumo delle sigarette;
- cancellare la sveglia alle sei;
- rimuovere le inferriate.
Tutte le richieste vennero accolte ma la stampa locale si dimostrò contraria all’occupazione e il 28 febbraio un gruppo di infermieri, appoggiati sia dalle istituzioni che dalla stampa iniziò la contro-occupazione. Iniziarono ad esserci incertezze sia da parte dell’amministrazione, che temeva di subire un danno economico se l’ospedale fosse stato chiuso, sia da parte dei sindacati, che per la maggior parte non appoggiarono la protesta. Il 9 marzo terminò l’occupazione.
La riforma italiana nota come legge 180 o legge Franco Basaglia ha abolito il manicomio e ha eliminato la pericolosità come ragione della cura. Il Trattamento sanitario obbligatorio (TSO) doveva essere effettuato “se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici e se gli stessi non vengano accettati dall’infermo
Dopo l’approvazione della legge 180 si iniziò a modificare lentamente il disinteresse nei confronti dei bisogni di risocializzazione dei pazienti. In alcune realtà territoriali non vi furono delle modifiche sostanziali del carattere residenziale degli ospedali psichiatrici[28], mentre in altre si iniziò a costituire la rete dei servizi di salute mentale territoriali. Nel 1994 il governo Berlusconi I introduce nella legge finanziaria un insieme di norme che impongono la chiusura definitiva dei manicomi e nel 1996 il governo Prodi I ne dà attuazione. (Fonte Wikipedia)
Fotografie: Maria Cristina Casati
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